Troppo caldo
04/12/16Pubblicato da Dario alle 09:04 0 commenti
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“Perché le canzoni sono là fuori”
21/12/15Pubblicato da Dario alle 03:40 0 commenti
Etichette: paesi lontani, scrittura, storie
Mishal
13/08/15
Pubblicato da Dario alle 08:50 0 commenti
Mishal
Sono convinto, naturalmente non ne ho le prove,
che finisco per incontrare realmente i personaggi dei libri che mi sono
piaciuti.
Pubblicato da Dario alle 08:47 0 commenti
Goldene medine (*)
28/11/14
Sul lavoro. La pazienza infinita con cui gli americani sopportano, pur di acquistare il made in Italy, tutti i nostri numerosi –ismi (mammismo, infantilismo, machismo, pressapochismo…) e le nostre due più gravi malattie nazionali: la capacità di risolvere i problemi all’ultimo secondo e solo all’ultimo secondo. La completa incapacità, invece, di mettere a fuoco anche con tutto l’aiuto esterno i nostri punti deboli. Che poi sono sempre gli stessi, e coi quali ci giochiamo la quota legittima di talento che a ciascuno di noi hanno lasciato in eredità i nostri antenati greci e romani insieme a rovine indubbiamente redditizie. La pazienza infinita con cui sopportano il venditore medio italiano, vanitoso e irrequieto. Con le sue giacche di sartoria (“perfetta anche dopo dieci ore di aereo”), con le sue scarpe da 600 euro, con i suoi “solo perché sei tu”, con il suo blocchetto di ricevute taxi già timbrate, acquistato (lo dico per i colleghi che non lo sapessero) dai soci della cooperativa “Taxi centrale” di Napoli per 15 €. Non trattabili, data la natura dell’articolo. Con il suo incredibile repertorio di scuse per una ritardata consegna (“elezioni comunali, molti dei nostri operai sono stati chiamati a fare gli scrutatori”). E soprattutto con il suo sapere di lirica, di automobili, di donne, di investimenti, di arte. Insomma di tutto, tranne che del proprio prodotto.
Findlay, Ohio. Sbuca dall'angolo un balordo che borbotta tra se "What a nation of cowards we 've become!" (che nazione di codardi siamo diventati). Mi prende di sorpresa, con la guardia abbassata. Lo inchiodo con uno sguardo: “Sgomma bro, che qui non ce n’è. E soprattutto non pensare nemmeno di passarmi dietro le spalle”. In USA noi europei commettiamo tutti lo stesso errore, cioè stiamo sempre sul chi vive, siamo impauriti. Non capiamo che il negro di due metri che troviamo fuori dall'ascensore e che ci fa sobbalzare di paura vuole in realtà solo aiutarci con la valigia, tenerci aperta la porta, aiutarci a trovare la reception, il bar, il parcheggio. Non capiamo che la ragazza con faccia patibolare che ci viene incontro nel parcheggio ci vuole solo chiedere: “How are you doing this evening!”. Che il poliziotto di Newark dal cognome polacco, il cui viso non va per niente d’accordo con la sua uniforme, vuole solo accompagnarci di persona al nostro gate. Il balordo di Findlay capisce e mi passa davanti, in orbita di sicurezza. Lo guardo allontanarsi lungo la Main Road, continua a borbottare. Davanti a un building abbandonato si china persino a raccogliere una cartaccia e la getta nel cestino. Mi spiace in fondo lasciare andar via l'unica persona che avrebbe forse potuto aiutarmi a capire quel che non ho ancora capito di questo paese, cioè molto. Ad esempio dove inizia la fognatura da cui escono i ratti violenti, i gunmen liceali di Columbine che vanno a giocare a bowling prima di sparare ai loro compagni di scuola, i moonshiners distillatori clandestini che si nascondono nei boschi degli Appalachi, i fumatori di crack.
Capisco invece, anche se solo per un attimo, come si possa desiderare di dormire col cannone sotto il cuscino. Mi succede in un motel isolato in Pennsylavania, mentre sento passi pesanti salire la scala del parcheggio. Per tutta la giornata i media hanno raccontato in diretta della caccia a Eyre, l’ultimo dei gunmen. Così uguale a tutti gli altri: faccia da bravo ragazzo, un passato nelle forze speciali, addestramento e condizione fisica formidabili. Tiene in scacco i federali e i loro cani da una settimana muovendosi nei boschi. Lo prenderanno la mattina dopo alle sei, nell’hangar di un piccolo aeroporto abbandonato, tutto il suo arsenale praticamente intatto. Il colpo in canna che deciderà di non piantarsi in testa. Sceglie la tuta arancione, e quasi sicuramente il braccio della morte (ha ucciso due poliziotti). Alle otto gli abitanti del posto già mostrano in TV le t-Shirt commemorative, mentre il governatore che essi hanno eletto non si vergogna di ringraziare pubblicamente il suo dio feroce per aver permesso la cattura di Eyre da vivo.
(*) Stato d'oro, in yiddish
Pubblicato da Dario alle 10:53 0 commenti
Pubblicato da Dario alle 03:55 0 commenti
La “sbeccazida”
Invidio, ho sempre
invidiato genovesi e romani. Per il modo in cui amano le loro città, i loro
quartieri coi loro odori, per il modo in cui persino i granelli di sabbia
scricchiolano sotto le loro scarpe e solo sotto le loro scarpe. Non posso dire
altrettanto, i miei antenati sono stati (de)portati qui a Bolzano da altri
luoghi. Non ho una città, non ho un dialetto, la sabbia sotto le mie scarpe non
fa nessun rumore.
Forse per questo, per
riempire la mancanza originale, mi sono interessato fin da bambino alle lingue
e ai dialetti. Li ho mescolati e ne ho inventati di nuovi, anche con l’aiuto di
alcuni amici geniali.
Chissà che diavolo di baruffe si agitavano nella sua fantasia! Credo che questo
dialetto esprimesse la meraviglia del romano che sale al nord. È anche
possibile che avesse sentito arrivare, con vent’anni di anticipo, il leghismo.
Cioè che avesse sentito calare su di se il becco del nord.
Pubblicato da Dario alle 03:42 0 commenti
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