Beyrouth mon amour

10/07/10








Aspettando il maestro



I morti ebrei li so immediatamente

So il loro trauma di andarsene da soli,

Vedo le donne ebree nell’esplosione

Che si guardano indietro nei secoli

Mentre la risata dei Goyim frusta l’aria,

Tutto questo io vedo quando sento lo sparo.



Ai morti arabi ci debbo pensare,

perché la loro morte mi possa colpire.

Devo istruire il mio cuore sul loro modo di soffrire.

E scrutare nei secoli, ascoltare

Il riso d’Europa e il suo disprezzo.

Tutto questo lo vedo quando ci penso.



Se vuoi avere la giustizia la devi volere,

invitarla ad entrare dal deserto

dove si aggira come un profeta

disprezzato per le sue intenzioni pacifiche in tempo di guerra.














(Arthur Miller)



Quando ero ragazzino, non c’era giorno in cui i telegiornali non parlassero di Beirut. Non capivo naturalmente nulla di falangisti, miliziani, cristiani maroniti o di linea verde. Capivo solo che tutti guidavano una Mercedes 240, non esistevano altre auto a Beirut che le Mercedes 240. Pensai che dovevano essere delle auto veramente buone per essere usate in quelle condizioni. Quando si trattò di cambiare l`auto di famiglia, provai a suggerire la marca con la stella. Niente da fare, si comprò una Lancia. Mi sono reso conto da adulto che le scene trasmesse dal telegiornale all’ora di cena erano molto edulcorate rispetto a quanto avveniva realmente in quella terrificante guerra civile urbana. Ben altre scene venivano riprese dai fotoreporter e cameramen, ma restavano per lo più su un circuito da addetti ai lavori. Questa feroce sequenza è stata ripubblicata di recente da Paris Match: siamo sulla linea verde, lato arabo. Un cecchino cristiano ha colpito un combattente arabo. Compagni e passanti lo soccorrono. In quel momento passa una Mercedes 240 blu che si ferma. Si carica il ferito sul sedile posteriore. Il cecchino lascia fare. La Mercedes parte a tutta velocità verso l`ospedale. Non fa nemmeno 30 metri, poi: „Blamm!“ Con un unico tiro al volo, di precisione disumana, il cecchino centra il guidatore in piena tempia attraverso il finestrino aperto. La Mercedes 240 rallenta e si ferma. La moglie del guidatore, che gli siede accanto, dapprima non capisce. Poi capisce quando la testa insanguinata del marito crolla sul clacson. Lo tocca, poi esce fuori a implorare aiuto, ma gli altri non ne vogliono sapere e se ne stanno rintanati dietro la serranda di un negozio di frutta. Lei si dispera, grida, piange e alza al cielo le mani insanguinate. Gli altri la chiamano al riparo. Lei crolla sul marciapiede e piange disperata. Dagli occhi degli altri e soprattutto dai suoi si capisce che tutti aspettano un nuovo „Blamm!“. Che invece non arriva. La donna, avvolta nel chador, resterà tutto il pomeriggio accanto alla macchina con i due cadaveri. „Il clacson suonerà tutto il pomeriggio, finché la batteria non sarà scarica“ è la laconica didascalia del fotografo.

Anche il cecchino ha un cuore? E' per questo ha risparmiato la donna? Non credo, il cecchino applica piuttosto la sua ragioneria del dolore. Una ferrea partita doppia della sofferenza: l'uomo deve morire da solo, la donna deve restare vedova.

Nel 1997 ero un giovane area manager, mi furono affidati i paesi del medio Oriente e nel corso dell'estate li visitai tutti. Tranne Israele, oppure Palestina Occupata come lo chiamano i paesi confinanti. Il rivenditore di Tel Aviv, senza neppure conoscermi, chiese e ottenne di continuare ad avere a che fare col vecchio area manager. La tappa che più mi eccitava era naturalmente Beirut. Durante l’atterraggio, mi resi conto che l'aereo scodinzolava un po' troppo sulla pista. Mentre camminavo verso il terminal, vidi che stavo mettendo i piedi su un cratere di granata, riparato di fresco. Il proiettile proveniva dal mare, sicuramente da una nave da guerra. Il foro di entrata nel cemento era netto, un metro abbondante di diametro. Dall’altra parte, invece, le schegge si erano sventagliate proprio come un’anguria che si schianti al suolo. Poco più tardi, dalla mia stanza d’albergo vidi molto bene lo scheletro di un hotel in costruzione, non certo un obbiettivo strategico, sui cui sempre una nave da guerra aveva aperto un buco perfettamente rotondo nell’unico muro che fosse già in piedi, la tromba dell`ascensore. Qualche difficoltà a farmi capire dal tassista, ovviamente in Mercedes 240. Lui non capiva „fighting“ e neppure „green line“. Bastò un esperantico „bum-bum“ e gli si ílluminò la faccia: „Ah…bum –bum?“ Quello che vidi nel pomeriggio non lo dimenticherò mai. Percorremmo ogni singolo metro della ex linea verde, il restauro allora non era nemmeno iniziato. Sconvolgente. Gli edifici alla portata di tiro dei cecchini erano sfaldati, sfogliati dai proiettili di piccolo calibro. Più che la celebre facciata dell’Hotel Holiday Inn, cesellata da una quantità inverosimile di colpi, mi è rimasto impresso un bagno. Un bagno normalissimo, se non fosse che il solaio e due muri erano precipitati quattro piani più sotto. I sanitari erano restati appesi ai loro tubi. Salii al quarto piano dell’edificio di fronte per vedere meglio: il cecchino annoiato aveva iniziato da ciò che era ovvio: specchio, bottiglia del dopobarba, lampadina. Poi si era dedicato con pazienza a staccare a fucilate tutte le piastrelle senza abbattere il muro sottostante. Ci era riuscito con tutte, tranne una singola fila nell’angolo dietro la tazza. Dicono che fu una guerra civile etero-diretta, che faceva comodo a molti paesi mediorientali ed europei. Non lo so, credo che fu una guerra etero-diretta, innestata su uno dei rami velenosi del conflitto israeliano-palestinese. Tutte le due parti ricevevano camionate di proiettili e armi di prim’ordine. Credo che se si andasse a cercare chi gliele mandava, verrebbero fuori delle belle sorprese: molto probabilmente Francia, probabilmente Italia e forse anche Svizzera, neutrale ma molto in alto nella classifica dei produttori di armi. Ma oggi questo non interessa più a nessuno, ciò che conta è che la gioventù dorata di Beirut sia tornata a sgommare sulle spider e a uscire in motoscafo il sabato. E tutto sommato nessuno sembra ricordare quale fu il motivo per cui venti anni fa tutti i cimiteri di Beirut hanno dovuto essere ampliati.

Sabra e Shatila erano due campi di rifugiati palestinesi alla periferia di Beirut. Dal 16 al 18 settembre 1982 un numero mai accertato, ma stimato in 3500, di arabi palestinesi furono massacrati da milizie cristiane libanesi in un'area direttamente controllata dall'esercito israeliano dopo la partenza delle forze internazionali. Non tra il 16 e il 18 settembre, ma dal 16 al 18. Si trattava prevalentemente di donne, vecchi e bambini. Il generale Ariel Sharon, poi divenuto anche primo ministro, ordinò di fare entrare i miliziani e poi richiuse l’assedio impedendo la fuga dei profughi e l’accesso a chiunque altro. Di notte fece accendere le fotoelettriche per facilitare il lavoro.

I giornalisti osservavano impotenti, attraverso i cannocchiali, dai tetti delle case intorno ai campi. Col procedere delle ore arrivava fino a loro sempre più forte l’odore spaventoso della morte. Dopo il massacro, alcuni di loro entrarono nei campi insieme ai primi soccorritori. Tra essi anche Oriana Fallaci che in „Insciallah“, un libro peraltro meno anti-musulmano rispetto ai suoi ultimi, racconta ciò che vide: In una casa di Shatila vi erano dieci cadaveri di uomini accatastati uno sopra l’altro, fino al soffitto, contorti in posizioni grottesche. All’aperto, dappertutto, vi erano donne stuprate dopo l’uccisione. Una madre posò accanto a se i cadaveri dei suoi cinque figli perché i reporter li fotografassero.

Il conflitto mediorientale è molto difficile da capire. E´complicato, e la sua comprensione è ostacolata dalle moltissime reticenze da parte dell’Europa che non ha mai seguito in questa regione una politica trasparente. La poesia di Arthur Miller, forte e sincera, è stata per me un buon punto di partenza.



Nella foto Arthur Miller (1915-2005), drammaturgo, scrittore e saggista statunitense di origine ebrea e Marylin Monroe. I due furono sposati per 5 anni (1956-1961), la Monroe si convertì all'ebraismo per unirsi a lui.