Incubo numero zero

20/11/11

Manteniamo fede al nostro impegno di aprire Crisantemi Galleggianti alla collaborazione dei lettori. Pubblichiamo un racconto (fantastico, ho verificato personalmente) del giovane Pierluigi Iachino di Noli (SV). Bello e duro come la sua terra.



Incubo numero zero



Stanotte ho dormito poco e male. Sentivo nelle lenzuola l’odore dell’ospedale. L’odore del disinfettante di cui erano impregnate le lenzuola in ospedale. Più lo sentivo e meno dormivo, e più mi agitavo. E più mi agitavo più quell’odore veniva sù. Come i soldati che anni dopo i combattimenti sentono ancora odore di carne bruciata, anche se non c’è carne che brucia. Questo lo chiamo l’incubo numero zero, quello che non posso condividere con nessuno.

Inverno, ultimi scampoli delle vacanze di Natale. Ho così tanta fretta di andarmene che esco di casa passando dalla finestra anziché dalle scale. Mi disprezzavo a tal punto, mi sentivo cattivo a tal punto da pensare che se mi sacrificavo, potevo salvare il mondo. Ambulanza, TAC, Ortopedia, consulto psichiatrico, operazione, gesso, stampelle. In ospedale ci sto bene. Tutti si prendono cura di me ed io non devo fare niente. Un’infermiera coi guanti di lattice mi fa anche la barba, velocissima. Vedere e sentire che anche tutti gli altri soffrono è una prima terapia.

Mi dimettono e mi portano fuori in barella. Ore 10 del mattino, freddo pungente e cielo azzurro. Penso "bello è bello, niente da dire. Ma come sarà visto dall’altra parte?"

Allo stesso tempo mi sento un anche po’ indistruttibile, mi prendo il merito di avercela fatta. Gli altri invece a dirmi. "Ma è incredibile, sei stato miracolato! Devi iniziare a credere ai miracoli e a Dio! Dio ti ha preso in mano e ti ha salvato"

Ci vado cauto non perché non creda in Dio ma per il semplice fatto che io e solo io ho sentito il rumore della mia testa sull’asfalto. Non proprio quello di una mano.

Comunque sia, oltre a tutti i problemi che ho già ad esempio salire sull’autobus con le stampelle e senza poter piegare le ginocchia, devo anche capire perché Dio l'ha fatto. Cioè perché mi ha salvato, mentre magari ha lasciato morire altre persone che volevano vivere. C’è un senso? C’è una missione che devo portare a termine? Se sì, quale? Ci penso a lungo soprattutto nel tragitto sull’ambulanza che mi porta alla fisioterapia. I vetri sono bianchi, non si vede fuori. Allora immagino il punto dove ci troviamo, immagino le facce della gente. Le ambulanze mi fanno pensare.

Divento un TS (tentato suicidio), forti sconti sulle medicine e niente code per le analisi. Come le donne in gravidanza. La psicologa con una certa ironia mi ha dato invece FS, non Ferrovie dello Stato ma Fallito Suicidio. In questo campo si sbaglia sempre!

Gli amici a dirmi: "ti consigliamo di non dirlo a nessuno, altrimenti... capisci anche tu...... diventeresti un "pigliami per i piedi" che nessuno invita più a casa se abita più in alto del secondo piano”. Seguo il consiglio, in questo modo mi sembra di proteggermi. Poi vengo a sapere che la sorella di un mio amico che non dovrebbe saperlo, lo sa. E se lo sa lei lo sanno tutti gli altri. Gli stessi che mi dicevano di non raccontarlo lo hanno raccontato! Apro gli occhi, capisco che mi costa di più stare nascosto che mostrarmi.



Ho trovato una risposta alla Grande Domanda: perché la morte non mi ha voluto? No. Ho trovato la missione da compiere? Nemmeno.

Però, quando ho smesso di cercare ho trovato una fila di giorni, alcuni scandalosamente belli, in regalo.



Comunque, GRAZIE.