Capannelle

03/02/12

Si può e si deve dire tutto il male possibile del comunismo come di ogni totalitarismo. Però ci sono dei compagni senza i quali l’Italia di oggi sarebbe ancora peggio di quel che è. Per quanto questo possa sembrare, specie ai più giovani, incredibile.

Alessandro Natta nasce nel 1918 nella città ligure di Oneglia, sestogenito di una famiglia della piccola borghesia. Si iscrive prima a Lettere e poi frequenta la Scuola Normale superiore di Pisa dove ha inizio la sua militanza antifascista. Durante la seconda guerra mondiale è inviato in Grecia e, nel caos dell' 8 settembre 1943, partecipa a Rodi alla difesa dell'aeroporto di Gaddurà attaccato da forze tedesche. Imprigionato, dimostra di avere un carattere d’acciaio quando rifiuta di collaborare con tedeschi e repubblichini. Subisce per questo una dura prigionia nella stessa Rodi.
Natta rientra in Italia solo nell'agosto del 1945. Si iscrive al Partito Comunista Italiano di Imperia e vi si dedica a tempo pieno. Sarà successivamente consigliere comunale, segretario di federazione ed infine entrerà a far parte dei massimi organismi nazionali. Stretto assertore della "via italiana al socialismo", sarà collaboratore di Enrico Berlinguer fino ad entrare nell'ufficio di segreteria. Intransigente ma leale, “il professore” (nel frattempo si è laureato e insegna) è considerato da molti un po’ troppo ortodosso. Ma viene scelto dal partito per le più delicate missioni a Mosca e nel 1969 per sanare l’eresia de “Il Manifesto”. Il 26 giugno 1984, Berlinguer scompare prematuramente durante un comizio a Padova e Natta diventa il nuovo Segretario generale del PCI. Al congresso di Firenze del 1986, nonostante i venti di cambiamento che spirano sempre più forti, viene confermato segretario. Due anni dopo, i venti sono diventati tempesta e la generazione dei quarantenni freme per prendere il controllo del partito chiedendo apertamente la testa del professore. Gli hanno affibbiato il soprannome di “Capannelle” dal famoso caratterista di Cinecittà specializzato in ruoli di anziani, che lui ricorda vagamente con i suoi tratti spigolosi. Natta deve sopportare in silenzio, non vuole nuocere al partito. Il 30 aprile 1988 è colpito da un grave infarto. Dall’ospedale, Capannelle deve sopportare in silenzio perfino che i compagni aggravino ad arte il suo bollettino medico, convinti di offrirgli così la possibilità di dimissioni onorevoli. Si sbagliano, Capannelle è di un altro avviso. E di un’altra pasta: si riprende perfettamente e regge la segreteria ancora fino al 10 giugno quando gli succede Achille Occhetto. Natta rifiuta gli incarichi consolatori che i compagni gli offrono e chiede di restare nel partito da “semplice frate”. E’ con il "Fronte del no" insieme a Cossutta quando Occhetto propone, nella storica svolta della Bolognina il cambio del nome del partito: egli è firmatario, con Aldo Tortorella e Pietro Ingrao, della mozione 2, che si propone di rinnovare la cultura politica del partito senza abbandonare il marxismo. Quando sulle ceneri del PCI nasce il Partito Democartico della Sinistra, Natta non vi rimane. Non aderisce nemmeno al Partito della rifondazione Comunista. Rimasto “senza partito”, richiede in una famosa lettera alla compagna Nilde Iotti (in quel momento presidente del Parlamento) che gli vengano concesse, nel nome dei suoi elettori, le dimissioni dal seggio che occupa per la circoscrizione ligure ininterrottamente dal 1948. La Iotti lo conosce bene e non prova nemmeno a dissuaderlo. Non può che inoltrare la richiesta alla Giunta delle Autorizzazioni. La richiesta, inaudita, fa nascere un caso istituzionale: i compagni sono pronti a votargli a favore, affinché se ne vada. Gli avversari di mille battaglie parlamentari sono pronti invece a votargli contro. Vogliono cioè che resti, dimostrando nei fatti il contrario di quello che affermano a parole, e cioè di gradire la svolta dei quarantenni del PDS. L’imbarazzo è totale, nonostante lo scrutinio segreto ci vorranno una decina di votazioni per raggiungere il verdetto: Alessandro Natta può rinunciare ai privilegi della sua carica e ritornare ad essere un privato cittadino. In un’ultima intervista definisce “una cialtroneria” la svolta di Occhetto. Cattiva coscienza di un partito che sta cambiando troppo in fretta, si ritira sdegnato nella sua Oneglia. Si occuperà solo di poesia e delle sue irriniunciabili passeggiate quotidiane sul Molo Lungo del porto cittadino. Dopo la sua morte avvenuta il 23 maggio 2001, la città di Oneglia lo ha dedicato ad un concittadino che non poteva che essere uguale a se stesso: un difetto oggi imperdonabile.